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Luca Pedaso, sales director di Compass Group Italia
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Luca Pedaso (Compass Group Italia): “New business oltre le mense"

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- Compass Group Italia ristorazione - Compass Group mense - Terrazza Triennale Milano

Con un fatturato di 175,7 milioni di euro, Compass Group Italia è uno dei maggiori player nel campo della ristorazione organizzata e dei servizi. Attiva nel nostro Paese da 50 anni, la società mette la sua expertise al servizio di aziende private e istituzioni pubbliche principalmente attraverso la gestione delle mense (per un totale di oltre 20 milioni di pasti realizzati) mantenendo invariata la propria offerta, che punta sulla ricerca di prodotti eco-sostenibili e la diffusione della cultura del buon cibo come equilibrio bilanciato tra il piacere della tavola e una dieta salutare quotidiana. Una filosofia che ora si può “gustare” anche a Terrazza Triennale, il ristorante di Triennale Milano e primo passo di Compass Group verso la ristorazione commerciale. Ne abbiamo parlato con Luca Pedaso, sales director di Compass Group Italia.

L'intervista a Luca Pedaso (Compass Group Italia). 

Compass Group per molti addetti ai lavori è sinonimo di “ristorazione collettiva”. Basta per definire i vostri servizi?

Innanzitutto, va sottolineato che Compass Group Italia fa parte di Compass Group PLC, presente in 35 Paesi al mondo. Nella Penisola la ristorazione rimane il core business dell'azienda che genera l’80% del fatturato, di cui il 70% realizzato servendo i privati e il restante con gli enti pubblici. Per quanto riguarda l’altro 20% del fatturato totale si deve ascrivere alla divisione sport&leisure attraverso cui operiamo in contesti trasversali come l’Allianz Stadium di Torino o la Reggia di Venaria a Torino, l’Arena di Verona e la fiera di Rho. Non va dimenticato, infatti, che oltre ai servizi di ristorazione ci occupiamo anche di facility management garantendo pulizie, logistica, movimentazione documentale, gestione della reception, ecc.

A novembre 2023 avete riaperto Terrazza Triennale. Un ristorante in un luogo iconico per la cultura meneghina: come è nata questa operazione?

All’interno di Compass Group Italia esiste la divisione Ad Arte con cui rispondiamo alle esigenze dei settori catering e congressi coinvolgendo professionisti di medio-alto livello. Partendo da questa esperienza, abbiamo deciso di fare il primo passo nel fine dining. Ad aiutarci, la collaborazione con lo chef Tommaso Arrigoni che ha messo a disposizione la sua consulenza per il concept gastronomico, l’ingredientistica, le lavorazioni, ecc. Il tutto tenendo conto delle policy di sostenibilità interne e quelle inserite nel bando di gara per la gestione di questo spazio. Un paradigma che ha funzionato e ci permette ora di iniziare un percorso in un nuovo mercato capace, da un lato, di accreditarci presso la ristorazione di un certo livello e, dall’altro, di differenziarci rispetto ai competitor. Ci vorrà del tempo e, soprattutto, l’inserimento di nuovi profili qualificati, sia a livello di management che di operation ma questo non ci spaventa.

compass group
(Credits: Agnese Bedini DSL Studio)

State quindi lavorando alla costruzione di una divisione verticale sul food&beverage?

Sì, ci stiamo lavorando. Detto diversamente, parallelamente allo sviluppo di certe dinamiche, soprattutto in termini di volumi generati, quello che oggi è un servizio trasversale potrebbe presto evolversi in una divisione autonoma.

In questo sviluppo c’è spazio anche per il food retail?

Creare format o brand specifici per uno sviluppo su strada o all’interno dei centri commerciali non è il nostro focus e rischieremo di scontentare gli investitori. Qualcosa di simile alla ristorazione a catena avviene all’interno dei poli fieristici, ma qui adattiamo format proprietari senza il bisogno di doverci preoccupare degli ingressi e concentrandoci solo sul servizio di ristorazione in sé e per sé.

Eppure, la ristorazione collettiva, ad oggi, non se la passa bene. Quali sono le principali criticità?

Innegabilmente la pandemia ha cambiato il paradigma di questo settore. I volumi che registravamo nel 2019 non torneranno, anche per via delle mutate abitudini dei consumatori-lavoratori, con uno smart working che ormai è diventato strutturale e prevede una media del 20-25% di forza lavoro in remoto. A questo, poi, si aggiungono anche i cambiamenti in termini di consumo. Un esempio? Se, nel privato, prima si ricercava la preparazione espressa, ora riscaldare al microonde un piatto in atmosfera protetta e servirlo è considerato un sinonimo di sicurezza alimentare; a patto che contenga prodotti sani e nutrienti. A cascata, ciò significa che le imprese hanno sempre meno bisogno di uno spazio per il ristorante aziendale ma preferiscono concentrarsi su aree break polivalenti. Si tratta di una fase di evoluzione forzata a cui anche noi ci siamo adattati creando un ufficio tecnico interno con il supporto di architetti per la realizzazione di nuovi ambienti accoglienti e capaci di invogliare il consumatore-lavoratore a essere in presenza. Per quanto riguarda il settore pubblico, invece, le cose sono più complesse a causa di logiche di mercato che generano bandi la cui base d’asta difficilmente riesce a coprire i costi del servizio. Aggiungeteci poi il rispetto dei criteri ambientali minimi, il peso dell’inflazione sulle materie prime, le strettoie del contratto nazionale di lavoro e la frittata è fatta. Forse le università sono rimasti gli ambiti pubblici in cui c’è maggiore disponibilità a innovare.

Anche dal punto di vista digitale?

Sicuramente sì: la digitalizzazione è parte integrante della ristorazione odierna. Subito dopo il lockdown non solo abbiamo investito in un’app proprietaria (Time to Eat, ndr) ma abbiamo acquisito anche Fresh&Natual per costruire una soluzione che consentisse ai consumatori di prenotare il proprio pasto, pagarlo in modalità cashless e trovarlo nel punto di raccolta all’interno di un’apposita lunch box. Successivamente, ci siamo concentrati sull’installazione dei totem per il self ordering e gli smart fridge che garantiscono una shelf life di 15 giorni al prodotto inserito. Tutte soluzioni che, da un lato, rispondono a una clientela sempre più a suo agio col digitale e, dall’altro, rendono più facili e tracciabili tutte le attività sostenibili di lotta allo spreco alimentare.

di Nicola Grolla.

       
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