L'ultimo a (ri)sollevare la questione è stato Pietro Pompili, restaurant manager de Al Cambio di Bologna, e così le mance tornano al centro del dibattito. Pro o contro? A prescindere dallo schieramento che si preferisce, rimane il contesto di partenza della discussione: così com'è organizzato oggi, il mondo della ristorazione è in difficoltà. Per sostenere l'attività economica serve ingegnarsi al fine di trovare nuove entrate con cui pagare, innanzitutto, il personale (anch'esso non di facile reperimento) evitando che a mettere mano al portafoglio siano sempre i clienti.
In un'intervista a Fanpage, Pompili ha avanzato la sua proposta: una mancia obbligatoria ma variabile (dal 5 al 20% a discrezione del cliente) con cui integrare gli attuali livelli di stipendio di chi lavora in sala. "La mancia obbligatoria incentiverebbe di nuovo i ragazzi a lavorare nelle sale dei ristoranti, perché la paga compenserebbe i sacrifici, e assicurerebbe loro una congrua retribuzione. Sarebbe anche un modo per rendere efficiente il servizio in sala - ha affermato Pompili alla testata online - È un modo veloce e concreto di risolvere i problemi legati alla scarsa retribuzione dei dipendenti. Un intervento dello Stato richiederebbe troppo tempo e il proprietario del ristorante non riesce a sostenere i costi. In questo modo si andrebbe a tamponare quella che è una vera e propria emergenza nelle cucine". In sintesi, una toppa di rapida cucitura su un contratto nazionale di lavoro "fermo agli anni '70". L'obiettivo? Tornare a incentivare una certa propensione al sacrificio di fronte a modelli organizzativi (spesso famigliari) che non riescono a garantire il corretto welfare al dipendente.
L'idea di Pompili che, va detto, gestisce un locale già affermato, con lunghe liste d'attesa e un flusso di cassa tale da potersi permettere di rimanere chiuso duranti molti festivi, ha generato un grande dibattito. A prendere posizione, anche la Fipe: "Le mance sono lo strumento migliore che i clienti hanno per premiare l’impegno e la passione di chi fa dell’ospitalità la propria ragione di vita. Contribuiscono, inoltre, a rafforzare il reddito dei lavoratori dei pubblici esercizi: un riconoscimento del valore e della professionalità di questi ultimi, che aiuta ad accrescere la qualità del servizio e a rendere più attrattivo il comparto", si legge in una nota. Detto ciò, sempre la federazione dei pubblici esercizi ha sottolineato che già oggi è possibile lasciare la mancia al cameriere. Con la Legge di Bilancio 2023, infatti, è possibile pagarla direttamente tramite carta di credito usufruendo di un regime agevolato di tassazione al 5%. "Grazie alla nuova normativa il numero di clienti che lascia le mance in modalità digitale è cresciuto sensibilmente, ma molto resta da fare - continua la nota della Fipe - Per questo sollecitiamo il sistema bancario affinché i sistemi Pos, non ancora adeguati alla normativa, prevedano questa funzionalità. Allo stesso tempo sosteniamo l’importanza di informare i clienti dell’esistenza di questa opportunità, ad esempio inserendolo all’interno del menu".
Come già raccontato su RM, la modifica dei limiti reddituali relativi al regime di tassazione agevolata delle mance è stata confermata anche dalla Legge di Bilancio del 2025. Nella stessa occasione, il legislatore ha elevato i limiti con cui godere della detassazione: un reddito da lavoro dipendente non superiore a euro 75.000 (dai 50mila del 2023) ed entro il limite del 30% del reddito percepito (rispetto al 25% ante-riforma). Una mossa che alza ulteriormente le stime realizzate due anni fa da Fipe in cui si parlava di un ammontare di due miliardi di euro per le tasche dei lavoratori della ristorazione derivanti dalle mance. A conti fatti, si tratterebbe di circa 2.000 euro per ciascuno dei 980mila addetti del settore ristorativo e dell'accoglienza. Insomma, una mensilità in più all'anno (secondo i dati elaborati dal Caf Acli su 1,3 milioni di dichiarazioni 730 relative al 2024, l’importo medio detassato dai lavoratori del settore è passato da 943 a 1.087 euro.) Ma pur sempre un'entrata realizzata a partire da elargizioni totalmente liberali. Quindi facoltative. Approccio che, secondo la fintech SumUp, negli ultimi due anni ha visto aumentare le mance al bar e ristorante del +8%. E sebbene siano ancora una piccola parte dei commercianti che le incassa, grazie alla tassazione agevolata e al costante aumento dei pagamenti digitali, il fenomeno si sta sempre più diffondendo insieme al successo della cashless society.
E qui, forse, sta il nocciolo della questione. L'obbligatorietà variabile proposta da Pompili suona più come una deresponsabilizzazione del datore di lavoro piuttosto che una premialità per il cameriere meritevole (e che dire di chi lavora in cucina?). Non solo, ma il dibattito sulle mance rischia di mettere in ombra altre battaglie e conquiste. Un esempio? Scaduto nel 2021, il Ccnl della ristorazione è stato rinnovato nel 2024, interessa oltre 300mila imprese e si applica a oltre un milione di lavoratori. Tra le principali novità, l’aumento in busta paga di 200 euro a regime, il rafforzamento dell’assistenza sanitaria integrativa e una durata di tre anni e mezzo. Oltretutto, per la prima volta, fra i sottoscrittori del contratto collettivo nazionale c'è stata anche Anbc (Associazione nazionale banqueting e catering) allargando ulteriormente la platea di aventi diritto. Se ancora non bastasse a convincere i lavoratori a "ritornare" in sala, allora è il modello di business che va rivisto. E anche in questo caso la responsabilità è dell'imprenditore. Non sorprende, da questo punto di vista, che realtà strutturate e organizzate (ma non per forza dei giganti) come le catene di ristorazioni, capaci di far quadrare conti e gusti, riescano a risultare più attrattive. Come dimostra una ricerca Aigrim, a parità di perimetro, se a consuntivo 2023 i dipendenti diretti delle aziende associate erano circa 23.500, a fine 2024 il numero è salito di circa 2.000 unità. Una crescita che rispecchia una crescita parallela sia dei punti vendita in gestione diretta delle aziende rappresentate da Aigrim sia di quelli in franchising: il 2023 si è chiuso con poco meno di 2.300 punti di ristoro mentre a fine 2024 ne sono stati registrati oltre 2.500. I motivi? "Formazione, opportunità di crescita e stabilità contrattuale", ha spiegato Riccardo Orlandi, presidente Aigrim.
di Nicola Grolla