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Retail e food retail, trend convergenti secondo Savills
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Retail e food retail stanno sempre più convergendo verso lo stesso trend di sviluppo secondo l'ultimo report Savills dal titolo Italy Retail Spotlight. Permane l'attrattività dei centri storici delle maggiori città italiane, soprattutto per i brand al debutto sul mercato italiano, ma si allarga anche l'interesse per i capoluoghi di provincia. Mentre per quanto riguarda il canale dei centri commerciali, la differenza la fa sempre la variabile del footfall. Dinamiche che, tuttavia, non sono esenti dalla clusterizzazione dell'offerta a cui corrisponde la scelta delle location.
Nei primi 6 mesi del 2025, 1.150 milioni di euro di investimenti nel retail.
Innanzitutto, partiamo dai numeri del report: nel primo semestre 2025 il settore retail ha registrato un totale di circa 1.150 milioni di euro di investimenti, una cifra due volte superiore a quella dello stesso periodo del 2024 e alla media degli ultimi 5 anni. La componente high street ha raccolto circa il 40% dei volumi totali, confermando l’interesse di investitori e brand; tre dei deal registrati hanno riguardato la città di Firenze. Shopping centre e negozi di beni di prima necessità - come supermercati, ipermercati e articoli per il fai-da-te - si confermano sempre centrali nelle strategie degli investitori, tuttavia è stato il segmento dei factory outlet a guidare i volumi del periodo grazie al deal più grande del semestre. "Il retail conferma la sua fase espansiva con una pipeline consistente, sostenuta da operazioni in fase di definizione. Il contesto resta favorevole, con capitali istituzionali attivi (70% dei volumi, ndr) e prospettive di chiusura d’anno superiori alle attese", ha affermato Marco Montosi, head of investment di Savills.
High street e centri commerciali, il punto di Savills.
Guardando all'high street, il ritmo sostenuto di nuove aperture retail è dovuto sia alla volontà da parte dei marchi di espandere la propria presenza nel mercato italiano sia da quella di testare concept innovativi. Una dinamicità premiata dal consolidarsi del flusso turistico che fa perno sulle grandi città come Milano (capitale del retail con canoni che in zona Quadrilatero possono toccare i 15mila euro al mq all'anno), Roma, Firenze e Venezia per poi allargarsi alle località costiere, di lago e di montagna. Per quanto riguarda i centri commerciali, il footfall in lieve aumento (+0,8%) non permette ancora di controbilanciare un fatturato in calo del -1,2% ma spinge i retailer a una maggiore selezione delle destinazioni. Premiate le strutture che con spazi che puntano su eventi, format interattivi e aree di socializzazione.
Flussi e presenze, necessità per retailer e food retailer.
Priorità condivise anche dai food retailer. "La ristorazione ha tanto bisogno di flussi e presenze quanto gli altri settori del commercio al dettaglio - ha spiegato Francesca Cattagni, head of retail agency ai microfoni di RM - Ovvio, le operazioni immobiliari devono tener conto del cluster di riferimento della propria offerta food&beverage. Non sorprende, dunque, vedere un marchio fine dining come Da Vittorio affiancare una boutique Luxury. Così come non sorprende che via Dante a Milano sia diventata una zona a trazione commerciale con Hard Rock, McDonald's, Signorvino: dal Castello al Duomo, infatti, parliamo di un unico flow pedonale con alta frequentazione turistica e a misura di dehors".
Francesca Cattagni (Savills): "Food&beverage, il vantaggio competitivo sta nell'entertainment".
Altro fenomeno che accomuna retail e food retail a qualsiasi livello è il ricorso all'entertainment: "Sia i marchi del lusso sia quelli più commerciali hanno attivato diverse forme di esperienza in store. E su questo il food&beverage ha evidentemente un vantaggio competitivo rispetto ad altre merceologie riuscendo così ad aggregare maggiormente le proprie community intorno a concetti come benessere e sostenibilità. Una capacità che quando viene sfruttata al meglio permette di garantirsi un pubblico ricorsivo e, quindi, uno zoccolo duro di clienti affezionati che rendono più sostenibile il canone d'affitto", ha affermato Cattagni. Perché se è vero che le locazioni nelle best destination rischiano di pesare sul margine operativo della ristorazione, è anche verso che "statement e marketing ne guadagnano. Per questo anche il tema delle buone uscite, laddove presenti, da corrispondere per subentrare in alcune location prime viene vissuto come un investimento piuttosto che come una spesa e come un aiuto ad ammortizzare i costi piuttosto che un favore a chi lascia in location di seconda fascia", ha aggiunto Cattagni. D'altronde, la vera competizione si gioca qui: quanti sono gli spazi utili disponibili? "Nel food&beverage, per esempio, se è vero che più ci si allontana dalle main destinations e più è facile trovare condizioni economiche migliori, è anche vero che ci si può imbattere in altre complicazioni, come ad esempio l’impossibilità di ottenere nuove licenze per la somministrazione", ha concluso Cattagni.